Con l’avvento del digitale le nostre vite sono completamente cambiate: nel giro di quindici anni molti lavori sono scomparsi, altri si sono trasformati, altri ancora stanno nascendo proprio in questo periodo. È cambiato anche il modo in cui si sta insieme, in cui si condividono esperienze ed emozioni, è cambiato il modo in cui si educa o ci si diverte.
Nel webinar di questo mese si è affrontato quindi il complesso tema della digitalizzazione grazie all’intervento di Giulia Stirpe, Claudia Cucinelli, Arcangelo De Vecchis e Piero Di Gaetano, Roberto D’Agostino. I quattro relatori del webinar hanno portato sullo schermo di Marsica Sharing, quattro esperienze del tutto diverse tra di loro, ma accomunate da questa rivoluzione digitale che, anche per effetto della pandemia, è entrata definitivamente a far parte del nostro presente.

L’incontro non ha solamente cercato di definire cos’è la digitalizzazione, ma ha fatto emergere la parte più umana e più emozionale di questo processo: la reazione delle persone davanti a una novità, davanti alla scoperta, alla formazione, all’apprendimento. Ancora più evidente, forse, è stata la grande importanza data alla mancanza di alcuni aspetti che, fino a due anni fa, facevano parte della nostra quotidianità: la possibilità di incontrare colleghi, di aver un contatto diretto con i clienti, il desiderio di poter uscire di casa e recarsi nella sede del proprio lavoro, e, in modo più specifico l’essere un insegnante all’interno dell’edificio Scuola.
Il mondo della digitalizzazione è sempre più in espansione, e con il passare degli anni è molto probabile che tutti vi saremo coinvolti. Questo risulta sempre più evidente nel mondo del lavoro e anche, fortunatamente, in quello scolastico. La scuola, in questo processo di rivoluzione, gioca un ruolo essenziale: deve fornire, quella che in ambito pedagogico, viene definita Media Education. Possedere la saggezza digitale, infatti, vuol dire poter partecipare in modo attivo alla vita sociale, sia fisica che digitale. E, sebbene la scuola abbia già molti compiti e responsabilità, è necessario che rappresenti il punto di partenza di questa formazione in continua evoluzione.

Quali sono però i problemi che la digitalizzazione può portare con sé? Digitalizzare equivale a dire rendere accessibile qualsiasi cosa. Pensiamo all’amministrazione pubblica, alla burocrazia o agli archivi di dati e a come potrebbero essere di gran lunga migliorati nell’ottica di una riforma digitale. Ma se digitalizzare è sinonimo di accessibilità, allora è necessario che vengano fornite a tutti le stesse possibilità. Si parla quindi di garantire, a livello statale, infrastrutture, strumenti e soprattutto formazione uguale per tutti. Insomma, per poter avviare e sostenere un processo di digitalizzazione che sia funzionale, perché usufruito collettivamente, è necessario colmare quel digital divide che, per motivi diversi, separa le persone in due gruppi: chi ha accesso alle tecnologie e chi ne è escluso. In Italia, inoltre, si riscontra un paradosso sempre più grave, che dovrebbe indurci a riflettere: il divario tra le potenzialità offerte dai sistemi di connettività e le insufficienti competenze informatiche di chi si ritrova a utilizzarle. Competenze che sono, a tutti gli effetti, il presupposto principale affinché la digitalizzazione possa camminare su gambe robuste, le nostre, e non essere un fiume in piena che ci invade, trovandoci impreparati.

La pandemia ha lasciato un chiaro segno sul mondo del lavoro. Fino a qualche anno fa, per la maggior parte delle persone, il lavoro da casa poteva sembrare un’utopia, o qualcosa di talmente diverso dal tradizionale, da non essere visto di buon occhio. Lo smart working è entrato nelle nostre case, agevolando la vita di molti, permettendo ad alcuni di non perdere il lavoro e ad altri di trovarne uno. I benefeci apportati dallo smart working sono sicuramente innegabili, anche se questa modalità di lavoro non può essere applicata indistintamente a ogni settore. Se pensiamo alla scuola, ad esempio, possiamo dire che la DAD ha eroicamente salvato l’istruzione di milioni di giovani. Ma la distanza, in ambito scolastico e in una fascia d’età in cui il contatto, visivo, fisico, mentale accompagna il nostro percorso di crescita, non è un’opzione praticabile per troppo tempo. Perciò potremmo, in genarle, vedere il lavoro da casa come un potenziamento, come un’opportunità in più da sfruttare quando se ne ha bisogno. Per quanto lo smart working possa sembrare comodo e rivoluzionario, in due anni di pandemia, sono state raccolte molte testimonianze di persone che faticavano a sostenerlo costantemente. Dovremmo riflettere, infatti, sul luogo in cui lo smart working fa la sua comparsa. Non si parla solo della propria casa, ma della propria vita privata. Si ha l’errata sensazione che la persona seduta dietro lo schermo sia sempre disponibile e l’orario lavorativo sembra non avere mai fine, sconfinando, a tutti gli effetti, in una zona della nostra vita che dovrebbe essere “sacra”, la propria casa, il proprio tempo privato. Uscire fisicamente dal luogo di lavoro, attualmente, veicola un messaggio più forte di un offline sulla chat di Teams. Serve perciò un cambio di atteggiamento, dato che ci si sta approcciando a qualcosa di nuovo. E come un tempo sono stati definiti dei confini nei luoghi di lavoro, a tutela di diritti fondamentali, anche per lo smart working, o per qualsiasi tipo di attività svolta a distanza, è necessario rielaborare e riadattare quei confini in modo che non alterino la libertà di gestire la propria vita.

Parlare dei “problemi” di questo processo, non vuol dire essere restii alla digitalizzazione. Ogni novità, ogni cambiamento, richiede adattamento e valutazione attenta dei benefici, ma anche dei costi che porta con sé. La digitalizzazione apre le porte a opportunità infinite, crea tanti altri micro mondi che, se gestiti con attenzione, possono aiutarci a migliorare il mondo in cui viviamo. L’obiettivo della digitalizzazione è proprio questo: poter migliorare la vita delle persone e, per quanto sia difficile, nel modo più uguale per tutti. Nel mese di Gennaio un ospite di Marsica Sharing ci ha parlato del tema della memoria. La memoria del nostro territorio, ricca di storie, che vanno ricordate e scoperte. Quanto potrebbe essere d’aiuto la digitalizzazione nel tutelare un tipo di memoria così unica e fragile? Ma non solo, digitalizzare il patrimonio di fonti conservate negli archivi, potrebbe dare la possibilità a molte più persone di accedervi, magari di appassionarsi, o scoprire un territorio e delle tradizioni che, in questo caso, la distanza non permette di conoscere. Se la memoria umana è fonte di conoscenza, la memoria digitale è, invece, bacino di conservazione: garantirebbe la possibilità di tramandare sempre più informazioni, abbassando in modo significativo l’eventualità che vadano perse.

Non siamo ancora in grado di fare un bilancio accurato sui pro e i contro della digitalizzazione ma, quanto detto in questo mese, ci ha fornito gli strumenti utili per riflettere su come affrontare questo processo irreversibile. Non dobbiamo lasciarci trasportare dagli eventi ma essere parte attiva del cambiamento.

Articolo a cura di Cecilia Bernardi